Precisiamo che articoli, recensioni, comunicazioni, eventi, appuntamenti... e quant'altro vengono da noi pubblicati non in base ad una adesione ideologica o morale, ma solo se ce ne viene fatta esplicita richiesta (anche con una semplice comunicazione fatta alla nostra Redazione a scopo di pubblicazione), pur rimanendo noi liberi di soddisfare o meno i desiderata.

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Mons. Williamson espulso da Mons. Fellay
della Redazione

       Mai avremmo voluto occuparci di un caso simile, anche se temevamo che potesse succedere da un momento all'altro, ma il fattaccio è successo e ne diamo conto per dovere di carità e per rispondere ai nostri lettori.

       Per semplificare il più possibile il quadro, partiamo con il
       - provvedimento di espulsione emesso da Mons. Fellay in data 4 Ottobre 2012 e reso pubblico dalla Fraternità il 24 dello stesso mese, pubblicandolo su DICI (non sappiamo del perché siano trascorsi ben 20 giorni di silenzio, dal 4 al 24: perché tanto segreto? Non lo sappiamo e alla fine dei conti c'interessa poco).
       - La Fraternità italiana, al completo, riunita ad Albano, con un suo comunicato del 25 ottobre, giustifica il provvedimento di Mons. Fellay con "motivi disciplinari" e precisa che "Voler collegare questo triste avvenimento ad una volontà di cedimento dottrinale nei confronti della “chiesa conciliare” è puramente arbitrario, calunnioso ed ingiustificabile alla luce della dichiarazione dell’ultimo Capitolo Generale e dei recenti avvenimenti, come anche il futuro dimostrerà in maniera inequivocabile." Domanda:        Perché la giustifica e la precisazione? È una prassi dei vari Distretti della Fraternità giustificare quello che fa il Superiore Generale? Noi non lo sappiamo, ma non vogliamo credere a chi suggerisce che la precisazione sia una excusatio non petita.
       - Mons. Williamson il 26 Ottobre 2012 (due giorni dopo la pubblicazione su DICI) risponde pubblicando le sue osservazioni su Rivarol.
       Racomandiamo di notare le date: sono importanti.

       Alla notizia data dalla Fraternità, il mondo tradizionalista si muove e
       - un prete (Don Curzio Nitoglia) prende le distanze dalla Fraternità e invita a sostenere Mons. Williamson;
       - un laico (Giovanni Servodio), dalle autorevoli colonne di Una Vox, mostra tutta la sua perplessità e le sue ben argomentate riserve sull'operato di Mons. Fellay;
       - un canonista (Diritto Canonico del '17 e dell'83 alla mano) mostra l'assurdità e la nullità del provvedimento emesso da Mons. Fellay nei confronti di un Vescovo, anche se religiosamente suo inferiore;
       - gli ebrei [ma che c'entrano gli ebrei???!!!] manifestano la loro approvazione, ma unita al rimprovero, perché un tal provvedimento di espulsione doveva essere preso (a loro giudizio) molto prima. Interessante è a questo proposito il commento che ne fa Una Vox

E noi? Che facciamo? Noi non vogliamo credere che si sia peccato di superiorelatria né crediamo che il criterio dell'ubbidienza possa essere avanzato da quella Fraternità fondata da un Arcivescovo che disubbidì alla massima autorità, al Papa. Noi abbiamo sincera stima di tanti (non generalizziamo) buoni preti della Fraternità e speriamo che il tutto si chiarisca al più presto e che al primo posto si ponga subito il superiore interesse della Chiesa: speriamo vivamente che ciascuno prenda coraggiosamente le opportune decisioni perché la Fraternità, proseguendo sulle orme di Mons. Lefebvre, non cessi dalla lotta contro il modernismo, per il trionfo dell'unica Chiesa di Dio e della sua Tradizione.

       Ringraziamo Una Vox per l'abbondante materiale messoci a disposizione.

La Redazione

 

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione


Comunicato
della FraternitÀ Sacerdotale San Pio X

del 24 ottobre 2012
sulla esclusione di Mons. Richard Williamson

da DICI


       Mons. Richard Williamson, avendo preso da diversi anni le distanze dalla direzione e dal governo della Fraternità Sacerdotale San Pio X, e avendo rifiutato di manifestare il rispetto e l'ubbidienza dovuti ai suoi legittimi superiori, è stato dichiarato escluso dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, per decisione del Superiore generale e del suo Consiglio, il 4 ottobre 2012.
       Gli era stata accordata un'ultima dilazione per sottomettersi, al termine della quale egli ha annunciato la diffusione di una “lettera aperta” nella quale chiedeva al Superiore generale di dimettersi.

       Questa decisione dolorosa si è resa necessaria per la cura del bene comune della Fraternità San Pio X e del suo buon governo, conformemente a ciò che denunciava Mons. Lefebvre: «Questa è la distruzione dell'autorità. Come può esercitarsi l'autorità se bisogna chiedere a tutti i membri di partecipare all'esercizio dell'autorità?» (Ecône, 29 giugno 1987)

       Data a Menzingen, il 24 ottobre 2012
 

 


 

Comunicato del Distretto d’Italia della Fraternità San Pio X

       In occasione della dolorosa esclusione di Mons. Williamson dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, il Distretto italiano ribadisce che questa è stata giustificata da motivi puramente disciplinari, che duravano da più anni.

       Voler collegare questo triste avvenimento ad una volontà di cedimento dottrinale nei confronti della “chiesa conciliare” è puramente arbitrario, calunnioso ed ingiustificabile alla luce della dichiarazione dell’ultimo Capitolo Generale e dei recenti avvenimenti, come anche il futuro dimostrerà in maniera inequivocabile.

Don Pierpaolo Maria Petrucci, superiore e tutti i sacerdoti
del Distretto d’Italia della Fraternità San Pio X

       Albano, 25 ottobre 2012

 

 


Lettera aperta di S. E. Mons. Richard Williamson

vescovo della Fraternità San Pio X

a S. E. Mons. Bernard Fellay

Superiore generale della Fraternità San Pio X
riguardo ad un’“esclusione”

La lettera è stata pubblicata sul settimanale francese Rivarol
il 26 ottobre 2012

       Londra, 19 ottobre 2012

       Eccellenza,
       grazie per la vostra lettera del 4 ottobre, con la quale mi comunicate da parte vostra, del Consiglio Generale e del Capitolo Generale, la vostra “constatazione”, “dichiarazione” e “decisione” che io non sono più membro della Fraternità San Pio X.
       Le ragioni da voi riferite che motivano la vostra decisione di escludere il vostro servitore sarebbero le seguenti:
       ha continuato a pubblicare i “Commenti Eleison”;
       ha attaccato le autorità della Fraternità;
       ha fatto opera di apostolato indipendente;
       ha seminato confusione tra i fedeli;
       ha sostenuto confratelli ribelli;
       ha disobbedito in modo formale, ostinato e “pertinace”;
       si è separato dalla Fraternità;
       non si subordina ad alcuna autorità.

       Non possiamo riassumere tutte queste motivazioni e considerarle essenzialmente “disubbidienza”?
       Certamente, nel corso di questi ultimi dodici anni, il vostro servitore ha espresso parole e gesti che sono risultati inappropriati ed eccessivi davanti a Dio, ma credo sarebbe stato sufficiente segnalarglielo perché se ne fosse scusato, secondo verità e giustizia.
       Ma siamo altrettanto certamente d’accordo che il problema di fondo non si trova nei dettagli, ma si riassume in una sola parola: disobbedienza.

       Allora, cominciamo analizzando quanti ordini più o meno sgradevoli del Superiore Generale il vostro servitore ha rispettato senza ribattere.
       • Nel 2003 ha abbandonato un importante e fruttuoso apostolato negli Stati Uniti per trasferirsi in Argentina.
       • Nel 2009 ha rinunciato al proprio incarico di direttore del seminario e ha lasciato l’Argentina per ammuffire in una mansarda di Londra, privato della parola e del ministero episcopale che gli era stato proibito.

       • Virtualmente non gli rimaneva che il ministero del “Commento eleison”, il cui rifiuto di sospensione rappresenta la parte essenziale di questa “disobbedienza” che gli viene rimproverata.
       • E a partire dal 2009 i Superiori della Fraternità si sono permessi di discreditarlo ed ingiuriarlo a loro piacimento, ed in tutto il mondo hanno incoraggiato ogni membro della Fraternità che ne avesse voglia a fare lo stesso.

       • Il vostro servitore non ha quasi reagito, preferendo il silenzio a qualsiasi confronto scandaloso. Si potrebbe persino dire che si è sforzato di non disubbidire.
       Ma andiamo oltre, poiché il vero problema non è questo.

       Allora, dove si trova il vero problema?

       Per rispondere, permettete all’accusato di fare una rapida analisi della storia della Fraternità dalla quale si pretende che egli si stia separando.
       In realtà, il problema centrale ha radici nel passato.
       A partire dalla Rivoluzione francese della fine del XVIII secolo, in molti Stati un tempo cristiani si è imposto un nuovo ordine mondiale, concepito dai nemici della Chiesa per cacciare Dio dalla sua creazione. Si è cominciato sostituendo l’antico regime, dove il trono sosteneva l’altare, con la separazione tra Chiesa e Stato. Ne è derivata una struttura della società radicalmente nuova, difficile per la Chiesa, poiché lo Stato, ormai implicitamente ateo, ha cominciato ad opporsi con tutte le sue forze alla religione di Dio.
       In realtà, la massoneria vuole sostituire il vero culto di Dio con il suo culto della libertà la cui neutralità in campo religioso non è che uno strumento (per raggiungere l’obiettivo).
       Comincia così nei tempi moderni una guerra impietosa tra la religione di Dio, difesa dalla Chiesa Cattolica, e la nuova religione dell’uomo, liberata da Dio e liberale. Queste due religioni sono inconciliabili tanto quanto Dio e il demonio. Bisogna scegliere tra cattolicesimo e liberalismo.
       Ma l’uomo non vuole scegliere, vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Vuole entrambe le cose.
       Quindi, sulla scia della Rivoluzione, Félicité de Lamennais inventa il cattolicesimo liberale e, da lì in poi, la conciliazione degli inconciliabili diventa il pane quotidiano all’interno della Chiesa.
       Per 120 anni, la misericordia di Dio ha dato alla Sua Chiesa una serie di Papi, da Gregorio XVI a Pio XII, per la maggior parte perspicaci e risoluti, ma un numero sempre crescente di fedeli ha cominciato a propendere per l’indipendenza da Dio e per i piaceri materiali verso i quali il cattolicesimo liberale spingeva.
       Una progressiva corruzione ha finito per coinvolgere vescovi e sacerdoti, allora Dio ha deciso di permettere loro di scegliere il genere di papi che garbava loro, ossia quelli che fanno solo finta di essere cattolici, ma che in realtà sono dei liberali, che parlano a destra ma agiscono a sinistra, che spiccano per la contraddizione, l’ambiguità, per la dialettica hegeliana, in parole povere per la menzogna.
       Si tratta della neo-Chiesa del Vaticano II.

       E non poteva che essere così.
       Solo nei sogni si possono conciliare delle realtà incompatibili tra loro.
       Ma Dio – parola di Sant’Agostino – non abbandona le anime che non vogliono abbandonarlo, quindi viene in soccorso di quelle poche anime che restano cattoliche e non vogliono seguire la molle apostasia del Vaticano II.
       Suscita un vescovo che resisterà al tradimento del clero conciliare. Rispettando la realtà, evitando di conciliare l’inconciliabile, rifiutando di sognare, questo arcivescovo parla con tali chiarezza, coerenza e verità che il gregge riconosce in lui la voce del Divino Maestro.
       La Fraternità sacerdotale che egli fonda per formare dei veri sacerdoti cattolici si avvia a piccoli passi, ma, rifiutando in modo risoluto gli errori conciliari ed il loro fondamento cattolico liberale, attira a sé ciò che resta dei cattolici autentici dal mondo intero, fino a formare la spina dorsale di tutto un movimento nella Chiesa che è detto Tradizionalismo.

       Ora, questo movimento è odioso per gli uomini della neo-Chiesa che vogliono sostituire il cattolicesimo col cattolicesimo liberale. Con l’aiuto dei media e dei governi, fanno di tutto per screditare, ingiuriare e sopprimere il coraggioso arcivescovo. Nel 1976, Paolo VI lo “sospende a divinis”, nel 1988 Giovanni Paolo II lo “scomunica”. Questo arcivescovo importuna terribilmente i papi conciliari perché la sua parola di verità mina il loro reticolo di menzogne e mette a rischio il loro tradimento. E sotto i colpi della loro persecuzione, persino della loro “scomunica”, tiene duro e con lui il considerevole numero di sacerdoti della sua Fraternità.

       Questa fedeltà alla verità fa si che Dio conceda alla Fraternità dodici anni di pace interna e di prosperità esterna.
       Nel 1991, il grande arcivescovo muore, ma per nove anni ancora la sua opera si perpetua nella fedeltà ai principi antiliberali sui quali l’ha costruita.
       Allora, cosa faranno i Romani conciliari per fare fronte a questa resistenza? Sostituiranno il bastone con la carota.

       Nell’anno 2000, un grande pellegrinaggio della Fraternità per l’Anno Giubilare mostra per le strade e nelle Basiliche di Roma la pietà e la potenza della Fraternità. I Romani ne sono impressionati, loro malgrado.
       Un cardinale invita i quattro vescovi ad un sontuoso pranzo presso di lui, invito accettato da tre di loro.
       Subito dopo questo pranzo molto amichevole, i contatti tra Roma e la Fraternità, da dodici anni pressoché congelati, riprendono e con quelli l’opera di seduzione dei bottoni rossi e dei pavimenti in marmo.
       I contatti riprendono tanto freneticamente che già alla fine dell’anno molti sacerdoti e fedeli della Tradizione temono una conciliazione tra la Tradizione cattolica ed il Concilio liberale.
       Questa non avviene, ma il linguaggio del Quartier Generale della Fraternità a Menzingen comincia a cambiare e nei dodici anni a seguire si mostrerà meno ostile verso Roma e più benevola verso le autorità della Chiesa conciliare, verso i media ed il loro mondo.
       E, man mano che la conciliazione degli inconciliabili viene preparata dalla testa della Fraternità, nel suo corpo di sacerdoti e di laici l’atteggiamento diventa pian piano più indulgente verso i papi e la Chiesa conciliari, verso tutto ciò che è mondano e liberale.
       Dopo tutto, il mondo moderno che ci circonda è veramente così gramo come ci hanno voluto far credere?

       Questa avanzata del liberalismo all’interno della Fraternità, percepita da una minoranza di sacerdoti e di fedeli, ma apparentemente invisibile agli occhi della grande maggioranza, si è svelata a molti nella primavera di quest’anno quando, in seguito al fallimento dei Colloqui Dottrinali della primavera 2011, la politica cattolica del “nessun accordo pratico senza accordo dottrinale” è diventata da un giorno all’altro “nessun accordo dottrinale, quindi accordo pratico”. E verso la metà di aprile il Superiore generale offre a Roma come base per un accordo pratico, un testo ambiguo, apertamente favorevole a questa “ermeneutica della continuità” che è la beneamata ricetta di Benedetto XVI per conciliare, precisamente, il Concilio e la Tradizione!.

       “Occorre un pensiero nuovo” dirà il Superiore Generale nel mese di maggio ai sacerdoti del distretto austriaco della Fraternità. Ovvero, il capo della Fraternità fondata nel 1970 per resistere alle novità del Concilio, propone di conciliarla con il Concilio. Oggi essa è conciliante. Domani dovrà diventare pienamente conciliare!

       Si stenta a credere che l’opera fondata da Mons. Lefebvre sia stata condotta a dimenticare, addirittura disprezzare i principi sui quali egli l’ha fondata, ma questo è il potere della seduzione delle fantasie del nostro mondo senza Dio, modernista e liberale.
       Ciò nonostante, la realtà non si lascia influenzare dalle fantasie, ed è reale il fatto che non si possono demolire i principi di un fondatore senza demolirne anche la fondazione. Un fondatore ha delle grazie particolari che nessuno dei suoi successori ha. Come tuonava Padre Pio quando i Superiori della sua Congregazione provavano a “rinnovarla” secondo il nuovo pensiero del Concilio appena terminato: “Che cosa fate del Fondatore?”

       Il Superiore Generale, il Consiglio Generale ed il Capitolo Generale della FSSPX hanno un bel conservare Mons. Lefebvre come mascotte, in realtà hanno un nuovo proposito, lontano dalle gravissime motivazioni per cui egli ha fondato la Fraternità. La stanno mandando in rovina almeno attraverso un tradimento oggettivo, assolutamente analogo a quello del Vaticano II.

       Ma siamo giusti, e non esageriamo.
       Fin dall’inizio di questa lenta caduta della Fraternità, ci sono sempre stati sacerdoti e fedeli che hanno capito e che hanno fatto il possibile per resistere. Nella primavera di quest’anno questa resistenza ha assunto consistenza e dimensioni tali da rappresentare un ostacolo al Capitolo Generale del mese di luglio, già sul cammino nefasto dell’accordo.
       Ma riuscirà a tenere questo ostacolo? Temo di no.

       Davanti ad una quarantina di sacerdoti della Fraternità riuniti in ritiro sacerdotale ad Ecône nel mese di settembre, il Superiore Generale, riferendosi alla sua politica romana, ha confessato: “Mi sono sbagliato”, ma di chi è la colpa?
       “I Romani mi hanno ingannato.” Inoltre, ne è derivata “una grande sfiducia nella Fraternità” che occorrerà “riparare attraverso fatti e non solo parole”, ma di chi è la colpa?

       Fino ad ora, il suo operato, a partire dal mese di settembre, ivi compresa questa lettera del 4 ottobre, mostrano che egli se la prende con i sacerdoti e con i laici che non hanno saputo fidarsi di lui, il loro capo.
       Dopo il Capitolo, come prima dello stesso, rimane l’impressione che egli non tolleri nessuna opposizione alla sua politica conciliatrice e conciliare.

       Ed eccola la motivazione per cui il Superiore Generale ha dato più volte l’ordine formale di chiudere i “Commenti eleison”.
       In effetti, questi “Commenti “ hanno criticato a più riprese la politica conciliatrice verso Roma delle Autorità della Fraternità, ed implicitamente le hanno attaccate. Ora, se in questa critica ed in questi attacchi si trovano delle violazioni alla regola del rispetto dovuto al loro ufficio e alle loro persone, ne chiedo volentieri perdono a chi di diritto, ma credo sia sufficiente rileggere i numeri in questione dei “Commenti” per constatare che la critica e gli attacchi sono rimasti di norma impersonali, poiché in ballo c’è ben altro che solo delle persone.

       E, in quanto al grande problema che va ben oltre alle persone, consideriamo la gran confusione che regna attualmente nella Chiesa e nel mondo, e che mette in pericolo la salvezza eterna di un’infinità di anime.
Non è forse dovere di un vescovo scovare le vere radici di questa confusione, e denunciarle pubblicamente?
       Quanti vescovi nel mondo intero vedono chiaro come vedeva Mons. Lefebvre, e danno un insegnamento che corrisponde a tale chiarezza?
       Quanti tra loro ancora insegnano semplicemente la dottrina cattolica?
Pochissimi, vero?
       E allora, è questo il momento di cercare di fare tacere un vescovo che lo fa, cosa testimoniata dalla quantità di anime che si aggrappano ai “Commenti” come ad una ancora di salvezza?
       E come in particolare un altro vescovo può volerlo zittire, lui che ha dovuto ammettere davanti ai suoi sacerdoti che sulle stesse grandi questioni si è lasciato ingannare, e questo per molti anni?

       In più, se il vescovo refrattario si è effettivamente dato –per la prima volta in quasi 4 anni– un apostolato indipendente, come lo si può rimproverare di avere accettato un invito, indipendente dalla Fraternità, a cresimare e a predicare una parola di verità?
       Non consiste proprio in questo la funzione stessa di un vescovo?
       La sua parola in Brasile sarà stata di “confusione” solo per quelli che seguono l’errore confessato ed evocato poco innanzi.

       E se da qualche anno egli sembra separarsi dalla Fraternità, è vero, ma egli si separa dalla Fraternità conciliare e non da quella fondata da Mons. Lefebvre.

       E se sembra mostrarsi insubordinato ad ogni esercizio di autorità da parte dei capi della Fraternità, è ancora vero, ma solo rispetto a quegli ordini che vanno contro agli obiettivi per i quali essa è stata fondata.

       Di fatto, per quale altro ordine, se non quello di chiudere i “Commenti Eleison”, è possibile affermare che egli si sia reso colpevole di disobbedienza “formale, ostinata e pertinace”? Ne esiste un altro solamente?
       La disubbidienza di Mons. Lefebvre, rivolta unicamente ad atti d’autorità dei capi della Chiesa di natura tale da distruggere la Chiesa, è stata più apparente che reale.
       Analogamente, la “disubbidienza” di colui che non ha voluto chiudere i “Commenti” è più apparente che reale.

       Poiché la storia si ripete e il diavolo torna sempre alla carica. Esattamente come ieri il Concilio ha voluto conciliare la Chiesa cattolica ed il mondo moderno,
       così oggi possiamo dire che Benedetto XVI ed il Superiore Generale vogliono, entrambi, conciliare la Tradizione cattolica ed il Concilio;
       così domani, se Dio non interviene nel frattempo, alcuni capi della Resistenza cattolica cercheranno di riconciliarla con la Tradizione ormai conciliare.

       Brevemente, caro Signor Superiore Generale, voi ora potete procedere alla mia esclusione, poiché i miei argomenti certamente non vi avranno persuaso, ma questa esclusione sarà più apparente che reale.

       Io sono membro della Fraternità di Mons. Lefebvre per il mio impegno perpetuo. Io sono uno dei suoi sacerdoti da 36 anni.
       Io sono uno dei suoi vescovi, come voi, da quasi un quarto di secolo. Questo non si cancella con un tratto di penna, per cui membro della Fraternità io lo resto.

       Se voi foste rimasto fedele alla sua eredità e se fossi stato io infedele, volentieri riconoscerei il diritto ad escludermi. Ma stando così le cose, io spero di non mancare di rispetto il vostro ufficio se suggerisco che per la gloria di Dio, per la salvezza delle anime, per la pace all’interno della Fraternità e per la vostra stessa salvezza eterna, che voi fareste meglio a dimettervi da Superiore Generale piuttosto che escludermi.

       Che il Buon Dio vi dia la grazia, la luce e le forze necessarie per compiere un tale atto insigne di umiltà e di devozione al bene comune di tutti.

       Quindi, come ho spesso concluso le lettere che vi ho spedito nel corso degli anni, Dominus tecum.

+ Richard Williamson

 

 

         
Espulsione di Mons. Williamson:
non lasciamolo solo!

di Don Curzio Nitoglia

       In realtà è la direzione della Fraternità che da diversi anni -e specialmente dal 2009- ha preso una posizione pericolosa di dialogo azzardato e di eccessiva apertura verso le novità del Concilio Vaticano II nonché di accettazione della shoah quale condizione richiesta da Benedetto XVI per essere considerati in piena comunione ecclesiale. È soprattutto l’opposizione a questi cedimenti che viene rimproverata a monsignor Williamson, mascherata sotto l’aspetto disciplinare.
       Lo stesso Superiore generale della Fraternità aveva riconosciuto -nel settembre del 2012- che era stato ingannato e che Benedetto XVI voleva l’accettazione della Nuova Messa e del Concilio Vaticano II da parte della Fraternità. Ora ciò è proprio quello da cui monsignor Williamson “aveva preso le distanze” cercando di farle prendere anche alla direzione della Fraternità.
       Se un Superiore generale si dichiara ingannato, dopo diversi anni, da un interlocutore che ha parlato apertamente e non ha nascosto il suo fine, o non è capace di governare o è in collusione con il nemico-interlocutore, “tertium non datur”.

       Benedetto XVI non ha mai nascosto che, secondo lui, il Concilio Vaticano II e il Novus Ordo Missae sono in continuità con la Tradizione. Voler far credere che per anni interi si è potuto pensare il contrario è una menzogna inaccettabile ed un insulto al buon senso di ogni uomo. A Napoli si dice: “qui nessuno è stupido”. Il Superiore in questione avrebbe dovuto ringraziare monsignor Williamson per averlo messo in guardia, e non espellerlo. Anzi avrebbe dovuto dimettersi personalmente.

       L’espulsione di monsignor Williamson fa temere, con una seria probabilità, che si vogliano riprendere le trattative con Benedetto XVI accettando, tacitamente o praticamente, la sua ermeneutica della continuità tra Tradizione apostolica e Concilio Vaticano II.

       Stando così le cose, occorre sostenere monsignor Williamson, non lasciarlo solo e non seguire il corso “entrista” della Fraternità, che la porterà pian piano -analogamente ad Alleanza Cattolica- all’accettazione tacita o almeno pratica delle novità conciliari e postconciliari.
       Cosa fare? In coscienza -senza voler fare sterili polemiche o disprezzare chicchessia- debbo dire pubblicamente per non fare l’ipocrita che non posso approvare l’attuale orientamento della direzione della Fraternità. Detto questo, spero di non dover ritornare sull’argomento. Non sono mai stato “fraterno centrico” e non mi piace parlare e disputare sulla Fraternità costantemente e perciò mi sottraggo a questo circolo vizioso ed ossessionante. “Nella Casa del Signore vi sono molte dimore”.

       Per quanto riguarda i fedeli, che hanno chiesto consiglio penso che essi possano ancora frequentare le messe celebrate dai sacerdoti della Fraternità, se sono più vicine a casa loro, ma senza seguire la nuova direzione di essa.

       A questo punto di estrema confusione i fedeli possono frequentare tranquillamente anche le Messe di San Pio V officiate da Istituti «Ecclesia Dei» o sacerdoti che si avvalgono del Motu proprio Summorum Pontificum cura, poiché oramai tra questi e la Fraternità non vi sono differenze sostanziali. Anzi, mentre l’«Ecclesia Dei» sta andando dal basso verso l’alto, la Fraternità sta scendendo dall’alto verso il basso.

       Inoltre i fedeli facciano oramai le loro offerte a monsignor Williamson, ai sacerdoti ed alle case religiose che si son mantenuti integri da ogni compromesso con il neomodernismo ed il giudeo-cristianesimo. “Fatti e non parole” (S. Ignazio).

       I sacerdoti che non vogliono essere riciclati dai neomodernisti, seguano monsignor Williamson. Se questo vescovo viene appoggiato solo a parole, ma abbandonato con i fatti non potrà svolgere appieno la sua opera di integrale testimonianza alla verità.

       Adesso i sacerdoti che non sono inclini ai compromessi dottrinali hanno a loro disposizione un vescovo, almeno un monastero in Brasile e, se saranno numerosi, potranno avere anche molte case nelle quali svolgere il loro apostolato ed un seminario in cui formare nella piena fedeltà alla Tradizione i candidati al sacerdozio.

       Tutto sta a non lasciarsi intimorire (“latrare potest, mordere non potest nisi volentem”), come quando di fronte al Novus Ordo Missae si scelse la Messa tradizionale. Così ora si scelga la Tradizione e non la compromissione, abbandonandosi alla Provvidenza divina e cooperando liberamente con Essa.
       “Chi ti ha creato senza te, non ti salverà senza te” (S. Agostino).

 

 


Breve commento a caldo sulla
“esclusione” di Mons. Williamson
dalla Fraternità San Pio X

di Giovanni Servodio

       La Casa generalizia della Fraternità San Pio X ha comunicato, il 24 ottobre 2012, la “esclusione” dalla Fraternità di Mons. Richard Williamson, per il “bene comune della Fraternità San Pio X e del suo buon governo”.
       La decisione è stata assunta dal “Superiore generale e dal suo Consiglio” perché Mons. Williamson avrebbe “preso da diversi anni le distanze dalla direzione e dal governo della Fraternità Sacerdotale San Pio X”, e avrebbe “rifiutato di manifestare il rispetto e l'ubbidienza dovuti ai suoi legittimi superiori”.

       Una decisione che, dal punto di vista interno di una congregazione religiosa, sembrerebbe inoppugnabile. Se non fosse che in questo caso si tratta, non di una qualsiasi congregazione religiosa, ma della Fraternità San Pio X, che per sua natura propria e per il contesto complessivo in cui è nata e nel quale è cresciuta e persiste, si presenta come una struttura cattolica atipica, seppure profondamente tradizionale. Una struttura sorta provvidenzialmente in un momento storico particolare che ancora oggi vede la Chiesa cattolica dibattersi in una spaventosa crisi di identità e di tenuta dottrinale e liturgica. Una crisi che non è colpa solo di questo o di quello, ma che si inscrive in un processo complessivo di indebolimento della fede, in totale coerenza con l’interrogativo retorico di Nostro Signore Gesù Cristo: «Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?».
       Processo di indebolimento e momento storico che una certa forma mentale ecclesiastica sembra voler ignorare, privilegiando una visione ad intra che guarda agli accadimenti come se la Chiesa vivesse in una sorta di arcadia.

       Quali che siano le responsabilità di Mons. Williamson, ciò che colpisce, nel comunicato della Casa generalizia, è l’accento posto sul bene comune della Fraternità, in modo da far coincidere tale bene comune con il rispetto e l’ubbidienza dovuti ai superiori.
       La cosa è non poco sconcertante, poiché, visto il contesto, si dimostra che si è voluto trascurare un altro aspetto, certo non meno importante, forse ben più importante, probabilmente il vero importante per il bene comune e il buon governo della Fraternità: evitare di drammatizzare le divisioni e soprattutto evitare di innescare una divisione lacerante che indebolisce la battaglia per la vera fede, che svilisce il senso e la ragion d’essere della difesa della Tradizione, che crea sconcerto e lacerazioni tra i fedeli, che offre indebitamente e gratuitamente armi mortali al nemico che si annida in alto loco a Roma.

       Si è preferito far valer il rispetto formale dei superiori, a fronte del rispetto sostanziale della battaglia che da 40 anni centinaia di migliaia di sacerdoti e di fedeli, con non pochi sacrifici, seppure con gioioso entusiasmo, conducono per il bene della Chiesa e per l’onore di Nostro Signore.

       Da oggi, l’onore dei superiori è salvaguardato, anche a costo dell’apertura delle ostilità all’interno della Fraternità, con la conseguenza che le ostilità all’esterno ne risentiranno fortemente, poiché un esercito che va diviso in battaglia, di certo ha già perso.

       Queste le brevi considerazioni a caldo, che saranno seguite, con calma, da altre considerazioni, inevitabilmente suscitate da questa decisione che era nell’aria, ma che pregavamo perché non sopravvenisse… non per noi che siamo nessuno, ma per il bene comune della Fraternità Sacerdotale San Pio X.

       Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di noi, peccatori.

 

 


Mons. Williamson si trova nel suo giusto diritto
e
il giudizio della FSSPX basato sui motivi addotti per la sua “esclusione” è privo di effetti

Un vescovo della Fraternità può esprimersi liberamente?

Fonte: http://semperfidelis.over-blog.fr/article-pourquoi-mgr-williamson-n-avait-pas-a-obeir-car-le-droit-est-avec-lui-111668315.html

Traduzione di Una Vox

       1/ CIC 1917, can. 627.
       § 1. Religiosus, renuntiatus Cardinalis aut Episcopus sive residentialis sive titularis, manet religiosus, particeps privilegiorum suae religionis, votis ceterisque suae professionis obligationibus adstrictus, exceptis iis quas cum sua dignitate ipse prudenter iudicet componi non posse, salvo praescripto can. 628.
       § 2. Eximitur tamen a potestate Superiorum et, vi voti obedientiae, uni Romano Pontifici manet obnoxius.
       § 1. Il religioso, eletto Cardinale o Vescovo, residenziale o titolare, rimane religioso, partecipa dei privilegi della sua religione, è soggetto ai voti e a tutte le altre obbligazioni della sua professione, eccetto quelle che, in base alla sua prudenza, egli stimi come non compatibili con la sua dignità, salvo quanto prescritto dal Can. 628. [il Can. 628 tratta solo il diritto dei beni materiali].
       § 2. Egli è esente comunque dalla potestà dei suoi Superiori e, in forza del suo voto d’obbedienza, rimane sottomesso solo al Romano Pontefice.

       2/ CIC 1983, can. 705.
       Religiosus ad episcopatum evectus instituti sui sodalis remanet, sed vi voti oboedientiae uni Romano Pontifici obnoxius est, et obligationibus non adstringitur, quas ipse prudenter iudicet cum sua condicione componi non posse.
       Il religioso elevato all’episcopato continua ad essere membro del suo istituto, ma in forza del voto di obbedienza è soggetto solamente al Romano Pontefice e non è vincolato da quegli obblighi che, nella sua prudenza, egli stesso giudichi incompatibili con la propria condizione.

       3/ Lettera di Mons. Lefebvre ai futuri vescovi, 28 agosto 1987

       a/ «io mi vedo costretto dalla Divina Provvidenza a trasmettere la grazia dell’episcopato cattolico che ho ricevuta, affinché la Chiesa e il sacerdozio cattolico continuino a sussistere per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.
       È per questo che, convinto di compiere solo la santa Volontà di Nostro Signore, con questa lettera vi chiedo di accettare di ricevere la grazia dell’episcopato cattolico, come l’ho già conferito ad altri sacerdoti in altre circostanze».

       b/ «Lo scopo principale di questa trasmissione è di conferire la grazia del sacramento della Cresima ai ragazzi e ai fedeli che ve la chiederanno».

       c/ «Infine, io vi scongiuro di rimanere legati alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, di rimanere profondamente uniti tra voi, sottomessi al suo Superiore Generale, nella fede cattolica di sempre, ricordatevi di queste parole di San Paolo ai Galati: «Sed licet nos aut angelus de coelo evangelizet vobis praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit. Sicut praedicimus et nunc iterum dico: si quis evangelizaverit praeter id quod accepistis, anathema sit.» [se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema! L’abbiamo detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema! (Gal. 1, 8-9)].»

       Domanda
       Mons. Williamson è vescovo ausiliare della Fraternità San Pio X, non ha alcun incarico nella Fraternità San Pio X.
       È accusato di essersi espresso liberamente nel suo blog su internet (Commenti Eleison) e di avere amministrato dei sacramenti (Cresime in Brasile) senza mandato del suo Superiore generale.
       In che misura questo è compatibile con l’ubbidienza al Superiore generale? Posto che nella particolare circostanza delle consacrazioni episcopali del 1988, Mons. Lefebvre ha scongiurato gli eletti all’episcopato a rimanere sottomessi al Superiore generale?

       Risposta
       Il vescovo membro di un istituto, non è un membro come gli altri. Il suo episcopato, la sua dignità per il Codice del 1917 o la sua condizione per il Codice del 1983, è indipendente dai suoi Superiori. Il Diritto Canonico gli riconosce l’esenzione dagli obblighi del suo istituto quando questi siano incompatibili col suo episcopato: e il discernimento circa questa esenzione rientra nella sua prudenza (ipse prudenter) (Can. 627, § 1).
       Che questo vescovo possieda o meno il governo, non cambia niente circa questo elemento del diritto. Il Codice del 1917 considera il vescovo sia residenziale sia titolare, cioè che governi o meno una diocesi. Il Codice del 1983 si attiene al religioso elevato all’episcopato, senza altra precisazione.
       In effetti, il diritto della Chiesa protegge qui l’episcopato senza riserve.
       Le circostanze delle consacrazioni del 1988 non cambiano alcunché: Mons. Lefebvre, il 30 giugno 1988, trasmette evidentemente il suo stesso episcopato (cfr. 3a), quello stesso che gli è stato trasmesso: l’episcopato cattolico.
       Questo episcopato non si restringe alla trasmissione dei sacramenti dell’Ordine e della Cresima: Mons. Lefebvre dice che questa è la sua prima intenzione, il suo scopo principale (cfr. 3b), dunque non lo scopo esclusivo.

       Il monito di Mons. Lefebvre di rimanere «sottomessi al suo Superiore Generale» (cfr. 3c), si applica nel quadro del Can. 627/1917, ripreso dal Can. 705/1983.

       Così: visti i canoni 627 e 705; visto il monito di Mons. Lefebvre:
Mons. Williamson si trova nel suo giusto diritto
       e
       il giudizio della FSSPX basato sui motivi addotti per la sua “esclusione” è privo di effetti.

 

 


“Esclusione” di Mons. Williamson

Ebrei contenti, ma non troppo

       Riportiamo una nota d'agenzia diffusa del Congresso Ebraico Mondiale (World Jewish Congress - WJC) sulla “esclusione” di Mons. Williamson dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X.

       Ovviamente, la cosa non ci tocca neanche un po'… sono cose ebraiche… che riguardano solo i Giudei, ma abbiamo pensato che fosse opportuno riportare la notizia a titolo documentario e a futura memoria. Soprattutto dopo le ripetute dichiarazioni vaticane circa la impossibilità di essere veramente cattolici se si esprimono opinioni critiche nei confronti dei “fratelli maggiori nella fede”.

       Come accade nella vita ordinaria, a tutti gli uomini ordinari, e come ricorda il vecchio proverbio: “se gli dai il dito, si prende la mano… e il braccio”, anche i Giudei non resistono a questa tentazione accaparratoria. Ad ogni concessione vaticana è sempre seguita una puntualizzazione che chiedeva di più. E il Vaticano non si è fatto indietro… anzi… si fa sempre più avanti.

       Il questa questione di Mons. Williamson, i Giudei dissero la loro già nel 2009, suscitando gli sproloqui filoebraici di tanti prelati e le famose e pietose dichiarazioni del portavoce della Sala Stampa Vaticana. Non poteva mancare, quindi, il becco ebraico in questa nuova succulenta pietanza della “esclusione” di Mons. Williamson dalla Fraternità.
       E da buoni “fratelli maggiori”… essi precisano che è “troppo poco” e “troppo tardi”. Ovviamente perché quegli sprovveduti dei dirigenti della Fraternità non si sono preoccupati di chiedere i lumi ebraici, almeno così sembrerebbe, poiché se lo avessero fatto, i Giudei avrebbero suggerito loro quale esemplare punizione sarebbe stata la più adatta. Magari li avrebbero invitati ad usare il passo del Levitico (16, 10) e ad abbandonare nel deserto, tra le braccia di Azazel, il nuovo Capro Espiatorio… il cattivissimo vescovo cattolico… soprattutto oggi che nei vari deserti della Palestina e dintorni si va a morte certa se si dà fastidio ai Giudei.

       Né poteva mancare, in questa nota del WJC, la regolare direttiva per il Vaticano: se la Fraternità non accetta la visione ebraica… pardon… filo-ebraica dei nuovi preti della neo-Chiesa conciliare… non fatele mettere piede inVaticano!
Uomo avvisato è mezzo salvato!

       Ma, visto che i Giudei si permettono di emettere direttive per i cattolici, ci siamo detti: perché allora noi, che non siamo il Vaticano, ma dei semplici sprovveduti fedeli di Nostro Signore Gesù Cristo, perché non proviamo ad elargire qualche consiglio… tanto non ci costa niente… e quelli a cui lo elargiamo se ne infischiano?

       E abbiamo pensato di consigliare ai dirigenti della Fraternità San Pio X di non mettere piede in Vaticano fino a quando i prelati ivi residenti non abbiano cambiato opinione sui Giudei, sugli Ebrei, sui “fratelli maggiori” e su diverse altre piccole cosucce che stanno ogni giorno di più riducendo la povera Barca di Pietro in una tinozza bucherellata e sbrindellata su cui volteggiano nugoli di uccellacci pronti a soddisfare le loro incoffessabili bramosie.

       Kyrie eleison.

 

 


Congresso ebraico mondiale

       24 ottobre 2012

       Il capo del World Jewish Congress (WJC), Ronald S. Lauder, ha accolto con favore l’espulsione del vescovo Richard Williamson da parte del gruppo cattolico separato Fraternità San Pio X (FSSPX), ma ha detto che questo si sarebbe dovuto fare anni fa e “non serve per ripristinare la credibilità di questa organizzazione”.

       Lauder ha dichiarato: “È bene che il seminatore di odio e negatore dell’ultimo olocausto, Williamson sia stato finalmente relegato nel deserto, ma questa è una decisione che la dirigenza della FSSPX avrebbe dovuto prendere anni fa, quando il chierico ha apertamente negato l’esistenza delle camere a gas. Adesso è troppo poco e troppo tardi. Le ragioni addotte oggi per l’allontanamento di Williamson non parlano del danno che quest’uomo ha causato attraverso la diffusione di invettive contro gli Ebrei e altri, sia dal pulpito, sia attraverso la sua lettera settimanale e le sue dichiarazioni ai media.”

       Nel 1989, in un discorso nella chiesa di Notre-Dame-de-Lourdes, a Sherbrooke, Canada, Williamson ha sostenuto che "Non vi è stato un ebreo che sia stato ucciso nelle camere a gas. Sono tutte bugie, bugie, bugie”. In un’intervista alla televisione svedese, concessa in Germania alla fine del 2008, ha ribadito la sua visione.

       Il presidente del WJC ha detto che anche se non tutti i membri della FSSPX sono antisemiti come Williamson, il gruppo è ancora alle prese con la questione dell’antisemitismo nei suoi ranghi e in qualche modo con coloro “che continuano a considerare gli Ebrei come la personificazione dell’Anticristo”. Lauder ha ringraziato Papa Benedetto XVI e il cardinale Kurt Koch, il prelato vaticano incaricato delle relazioni con gli Ebrei, per la loro condanna inequivocabile delle tendenze antisemite nella Chiesa. “Conosciamo la posizione del Vaticano su questo. Quello che non sappiamo è se la dirigenza della FSSPX è d’accordo con essa. Fino a quando la Fraternità San Pio X non prenderà una posizione chiara, non dovrebbe essere riammessa nel seno della Chiesa cattolica” –ha sottolineato Ronald Lauder.

       In una dichiarazione rilasciata mercoledì, la FSSPX ha detto: “Mons. Richard Williamson, avendo preso da diversi anni le distanze dalla direzione e dal governo della Fraternità Sacerdotale San Pio X, e avendo rifiutato di manifestare il rispetto e l'ubbidienza dovuti ai suoi legittimi superiori, è stato dichiarato escluso dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X”. La Fraternità di tradizionalisti, che si è staccata dal Vaticano più di due decenni fa per le sue riforme, ha detto che la decisione è stata presa il 4 ottobre 2012. Williamson è uno dei quattro vescovi consacrati dal vescovo Marcel Lefebvre a Ecône, in Svizzera, nel 1988, contro gli ordini del Papa Giovanni Paolo II, che in seguito li scomunicò. Nel gennaio 2009, Papa Benedetto XVI ha revocato la scomunica dei quattro.

       “Grazie a Dio la saga Williamson sarà presto alle nostre spalle, una volta che il tribunale di Ratisbona deciderà per la sua condanna per negazione dell’olocausto”, ha detto Lauder.

 

 

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